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Coronavirus calendario di una crisi

Rubens Curia, Lino Caserta, Tonino Perna e Franco Arcidiaco

Un “calendario della crisi” passata e in corso, per ragionare su un nuovo modello di sviluppo sanitario. Questo è stato il dibattito che si è svolto al parco Ecolandia nell’ambito dell’iniziativa “Arte al Forte” finanziata dalla regione Calabria con fondi Pac.

“Attorno a questo tavolo – ha spiegato l’editore Franco Arcidiaco, moderatore del dibattito – si è riunito un manipolo di sognatori che da tempo lottano per realizzare concretamente questi sogni”.

Il primo di essi è stato il padrone di casa, il professore Tonino Perna, presidente del consorzio di gestione del parco Ecolandia. Nella sua qualità di autore del libro “Pandeconomia, le alternative possibili” ha evidenziato alcuni elementi economici direttamente connessi al Covid: “E’ emersa in maniera ormai incontrovertibile la potenza cinese che fa passare un messaggio distorto di debolezza della democrazia. I cinesi – si dice – in una settima hanno costruito un ospedale e hanno messo sotto controllo la pandemia perché sono una dittatura. Questo ci chiama ad una maggiore responsabilità sociale. Per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, inoltre abbiamo una caduta del commercio internazionale. I cinesi lo hanno capito subito e hanno investito molto sull’economia interna”. E’ un modello economico su cui riflettere. L’Italia infatti fatica a procedere su questa strada non investendo in maniera convinta sul suo Mezzogiorno, area che potrebbe invece generare grande ricchezza per il sistema Paese. Il quarto elemento di novità legata al Coronavirus è la riscoperta dello Stato centrale a discapito delle regioni e del pubblico sul privato. Un quinto elemento rilevato dal sociologo è relativo alla nostra vita privata: “Lo smart working da una parte è una conquista. Dall’altro è un problema perché priva l’uomo della socializzazione”.

Al ragionamento del professore universitario ha fatto seguito il dottore Lino Caserta esperto di medicina solidale “un pensiero che si trasforma in prassi”. Al di là della sintesi lo slogan racchiude un approccio alla salute completamente diverso rispetto a quello attuale con uno sbilanciamento convinto sulla prevenzione piuttosto che sulla cura. “Su questo fronte ci si spende pochissimo – spiega il dottore -. Solo il 5% delle risorse sono impegnate sulle politiche di prevenzione. Gran parte invece sono incentrate sulla cura”. Perché “Creare degli ammalati” risulta molto più proficuo che prevenire le malattie. “Nel tempo ci eravamo cullati sull’illusione che pandemie come quella spagnola non si sarebbero più realizzate o che con l’ospedalizzazione si sarebbe risolto tutto mentre da 15 anni girano documenti riservati che mettevano in allerta”. Questo scarso impegno in prevenzione ha coinvolto le malattie di tipo epidemico e infettivo. L’infezione non è stata riconosciuta perché è mancato il sistema di sorveglianza. “La medicina solidale è un modo rinnovato di vedere la medicina investendo in prevenzione e salvaguardia”.

Infine, l’infettivologo Rubens Curia: “la più grande malattia che ci sia oggi al mondo è la povertà. Che cosa ci ha detto il Covid 19? Che il meccanismo culturale ospedalecentrico entrato nella mente della gente non è più sostenibile ed è fallimentare. Serve ristabilire un equilibrio tra la medicina territoriale e i ricoveri”. Una tesi sostenuta anche dal ministro Speranza quando ha parlato di “medicina di prossimità”. Un sistema che fatica a cambiare anche per mancanza del giusto sostegno popolare. “Le grandi riforme come la legge Basaglia furono il frutto di grandi movimenti popolari. Le cose non accadono da sole”. Per questo il dottore Curia sta portando avanti con forza la creazione di una cosiddetta “comunità competente”, un insieme di persone che si impegnano con forza ed esperienza sul raggiungimento di obiettivi sociali rilevanti. Ha spiegato: “col covid abbiamo una grande occasione: rilanciare strutture territoriali intermedie come le case della salute, i consultori familiari, i medici di medicina generale, gli ospedali e gli infermieri di comunità”.